Il giovane Karl Marx

Il giovane Karl Marx

Il giovane Karl Marx è una storia appassionante e umanissima di persone che vivono nell’amore e nell’amicizia, di uomini e donne che si uniscono immaginando una rivoluzione sociale che, nel tempo a venire, non rimarrà solo un’utopia e coinvolgerà milioni di individui, già relegati in una condizione di sfruttamento e povertà. Contemporaneamente, si tratta di un film filosofico e letterario, poiché mette in primo piano la produzione teorica dei due padri fondatori del comunismo e narra la formazione del pensiero marxista negli anni cruciali dal 1842 al 1848.

Incontriamo, inizialmente, il Karl degli esordi, che lavora come altre decine di giovani intellettuali, in tipografie affollate e su tavoli ingombri di carte e di bozze, che fatica a mantenere se stesso e la propria famiglia, già imprigionato in patria per i suoi scritti e poi esiliato. La storia racconta di lui e della sua formidabile moglie Jenny von Westphalen, raffinata e colta intellettuale di famiglia nobile, abbandonata e ripudiata dai suoi, per essersi innamorata di Karl e averlo seguito nella sua grama vita di pensatore. Poi, lo straordinario incontro tra i due padri del comunismo che si scrutano e valutano subendo una reciproca attrazione, malgrado tutti i simboli sociali militino contro di loro e ne facciano due avversari. Friedrich Engels è il ricco erede di un padre industriale, un tedesco “pietista” (setta integralista protestante avversa a ogni forma di vita mondana e di diffusione della cultura), nonché proprietario di alcune fabbriche tessili in Germania e a Manchester, in Inghilterra. Karl nasce all’interno della buona borghesia della provincia prussiana da una coltissima famiglia di ebrei convertiti. La sua povertà contrasta vistosamente con la ricchezza del primo e con la sua cultura raffinata, arricchita dalle letture dei testi dei grandi economisti e pensatori dell’Ottocento, europei e americani. Dopo i primi incontri, l’attenzione si sposta sullo studio faticoso e ossessivo di Karl.

Il giovane Marx era giunto a Berlino nel 1836, in un clima di grande fermento culturale che vedeva già affermata la divisione dei discepoli hegeliani in destra e sinistra (Hegel era morto nel 1831). Marx si colloca subito a sinistra frequentando i radicali berlinesi del cosiddetto Club dei dottori, divenendo amico di Bruno Bauer che, in seguito, contesterà nell’opera La sacra famiglia (1845). Nel 1841 Marx si laurea con una tesi su Democrito ed Epicuro elogiando una filosofia decisa a liberarsi delle paure degli dei e delle superstizioni religiose, per un libero sviluppo dello spirito umano. In un articolo sulla Gazzetta di Colonia del 1842, Marx scrive: «la filosofia tedesca, ha un’inclinazione alla solitudine, all’isolamento sistematico, all’imperturbata auto-contemplazione… Ma…la filosofia non abita fuori del mondo così come il cervello non sta fuori dell’uomo per il solo fatto che non sta nello stomaco».

In questo periodo Marx incontra il pensiero di Feuerbach, che gli restituisce concretezza attraverso uno studio dell’uomo «in carne e ossa» e tramite la critica dell’alienazione religiosa. All’amore per Dio occorre sostituire l’amore per gli uomini. Inizialmente, il giovane filosofo non affonda le radici del proprio sistema nell’economia, ma nella politica per l’instaurazione di una democrazia assoluta. Dietro ha ancora Rousseau, Feuerbach e la Rivoluzione francese; ma per poco. Ben presto infatti anche l’emancipazione politica gli appare inadeguata e nella Questione ebraica (1843) Marx mostra una scissione drammatica all’interno dell’uomo che si è emancipato soltanto politicamente: la scissione tra borghese e cittadino. La Rivoluzione francese, infatti, ha sancito l’uguaglianza formale fra gli uomini, come cittadini, ma questi continuano a essere ancora profondamente diseguali, come borghesi e proletari.

È con i Manoscritti economico-filosofici (1844) che Marx pretende di descrivere la vera liberazione dell’uomo: non più solo politica, ma economica e sociale. Gli uomini saranno davvero uguali quando verrà abbattuta la proprietà privata, il perno su cui si fonda il capitalismo e la distinzione tra operai e proprietari.

Nel 1845 Marx ha 27 anni e la critica a Feuerbach, che voleva combattere, prima di tutto, l’alienazione religiosa, per timore di cadere nell’idealismo filosofico, gli appare adesso monca e unilaterale, in quanto non considera la capacità attiva dell’uomo capace di modificare il reale. «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta prima di mutarlo». Modificando il mondo e le strutture economiche, Marx pretende di modificare gli uomini.

La storia testimonierà, purtroppo, la natura utopica di queste idee. Agli inizi del secolo successivo, il progetto dello “Uomo nuovo” sovietico, internamente portatore di nuovi valori sociali e personali, concepito dagli artefici della grande rivoluzione d’Ottobre, fallirà miseramente. L’individuo non si modifica solo in virtù delle trasformazioni economiche. Esistono gli istinti e le dinamiche psicologiche, di cui la politica è un esempio, che hanno, sempre dialetticamente, una autonomia in senso filosofico, dalla struttura economica.

Grandi personalità della seconda generazione di psicoanalisti, come Aleksander Luria, Lev Vygotskij, Wilhelm Reich e Otto Fenichel si cimentarono, nel novecento, ciascuno a suo modo, tentando di trovare l’anello mancante fra struttura economica e psiche individuale; o meglio fra economia e orientamento delle pulsioni psicologiche. Tutto ciò con risultati alterni per cui, in molti, hanno fantasticato cercando di immaginare quali idee sarebbero venute alla luce, se la mente prodigiosa di Marx avesse avuto a disposizione i concetti essenziali della psicoanalisi di Freud. Rispetto agli epigoni di queste due grandi personalità, va constatato che il rapporto fra il marxismo e la psicoanalisi resta, tuttora, un terreno teorico instabile, con qualche diretto e delimitato punto d’appoggio che emerge in pochi autori.

Ritornando al giovane Marx, nel 1845, con L’ideologia tedesca, si chiude la fase giovanile. L’uguaglianza diventa, definitivamente, l’uguaglianza nella soddisfazione dai bisogni materiali e la rivoluzione coincide con la mera trasformazione della struttura economica.

Nel corso del film, altri temi vengono toccati, il cui potenziale riflessivo non ha perso affatto di attualità. Due, in particolare, sono da rilevare: la natura conflittuale del movimento, o del partito e il ruolo della teoria in relazione alla prassi rivoluzionaria.

Il primo punto è, probabilmente, se letto in chiave di attualità, il più problematico. Le scene centrali del film sono dedicate alla sofferta mossa politica di Marx e Engels di trasformare la “Lega dei Giusti”, un’organizzazione operaia clandestina, in una, decisamente più combattiva, “Lega dei Comunisti”. Nel suo discorso durante il congresso di Londra, nel giugno 1847, Engels espone gli argomenti in favore della nuova Lega criticando soprattutto il punto di vista astrattamente morale e l’ideologia orientata alla conciliazione universale, all’amore e alla fratellanza che avevano caratterizzato il movimento fino a quel tempo. In sostanza, Engels e Marx tentano di fondare la prassi trasformatrice non su astratti punti di vista morali, sull’ideale cristiano della fratellanza, o sulla volontà di raggiungere un’intesa con l’umanità intera. I principi troppo generici e gli ideali astratti non sono in grado di afferrare le condizioni materiali esistenti. Le sole emozioni positive generalizzate tendono a tradire un’inefficace ingenuità. Il nodo centrale del film, ma anche della formazione di Marx, è dato proprio dalla sconfitta della corrente moralista all’interno della Lega dei Giusti e dalla costituzione della Lega Comunista.

Uno dei pregi maggiori della pellicola risiede nell’ampio spazio dedicato alle relazioni intime tra i protagonisti, costitutive per l’attività teorica e politica. Il sostegno di Jenny Marx, che va ben oltre il semplice ruolo di moglie devota; la passione di Engels per l’operaia filandiera Mary Burns, che lo spingerà a studiare più da vicino vita e le condizioni dei lavoratori inglesi. Inoltre, l’ammirazione e l’affetto, non scevro da conflitti, tra Marx ed Engels e i complicati rapporti di Marx per Proudhon.

Su un piano più concettuale, inoltre, non va trascurata l’accurata ricostruzione delle tre fonti principali del pensiero marxiano: l’idealismo tedesco, la teoria economica inglese e il socialismo francese. Il lavoro teorico non è semplicemente un’emanazione, un prodotto o una funzione secondaria della lotta: una certa autonomia della teoria è necessaria affinché essa possa svolgere il suo compito di fornire indicazioni e immagini più o meno dettagliate che orientino l’azione. Allo stesso tempo, la teoria non può arrogarsi nessuna funzione di guida, non può credere di essere superiore all’azione concreta. In una delle scene chiave e centrali del film, Marx e Engels si devono recare, umilmente, di fronte a un comitato di lavoratori e cercare di convincerli che sanno di che cosa stanno parlando. Tutto quello che riescono a farsi concedere, giustamente, è essere messi alla prova; la validità di un impianto teorico può emergere solo grazie al confronto diretto con la realtà: quella realtà che la teoria stessa vuole trasformare.

Per quanto riguarda la divulgazione delle idee portanti del comunismo, affidata, nel 1848, alle pagine del Manifesto più famoso della storia, è evidente che il regista vuole stabilire una continuità tra il momento storico delle sue origini europee e le lotte internazionali più recenti che possono dirsi, in qualche modo, ispirate da questa tradizione. La testimonianza più evidente di tale continuità la si trova nei titoli di coda, in cui le note di Bob Dylan accompagnano una carrellata sorridente di scene che ritraggono alcuni degli eventi e personaggi simbolo dell’emancipazione sociale e politica, nel ventesimo secolo, come Che Guevara, il Muro di Berlino o Nelson Mandela.

Un film non semplice; si pensi alla difficoltà di rappresentare in scena i dibattiti filosofici; la sceneggiatura ha cercato di a rendere più vive alcune sequenze, senza però inventare nulla o limitarne il rigore.

Il regista, Raoul Peck, è stato affascinato dall’idea di delineare dei concetti che, anche oggi, utilizziamo per parlare del contrasto tra capitale e forza lavoro e dei conflitti sociali, in genere; ma è riuscito a far ciò proponendo un’opera di finzione, assolutamente priva degli elementi tipici del documentario. La scelta di coinvolgere attori provenienti dal teatro ha anche permesso di impegnare, più facilmente, i protagonisti in piani sequenza che hanno consentito ai medesimi di delineare i personaggi con più attenzione.

In definitiva, una guida registica abile e forte che proietta, cinematograficamente, Il giovane Karl Marx oltre la barriera sentimentale del romanticismo ottocentesco verso un più concreto e agognato progetto rivoluzionario.

 

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