
La psicologia dell’attore e il teatro in Lev S. Vygotskij
(Da: Angelini A., Psicoanalisi e Arte Teatrale, Alpes, Roma, 2014)
Lev Vygotskij, tra i massimi psicologi del novecento, nacque, nel 1896 ad Orsa, nella Russia bianca, in una colta ed agiata famiglia ebraica. Durante gli studi universitari, a Mosca, frequentò assiduamente il “Teatro dell’arte” di Stanislavskij. La sua prima opera giovanile, La tragedia di Amleto (1915-16), fu scritta poco dopo la rappresentazione, a Mosca, di quello stesso dramma nell’edizione di Konstantin Stanislavskij e Gordon Craig. In quel periodo nacque, anche, la sua amicizia, durata fino alla precoce morte nel 1934, con il regista cinematografico Sergej Ejzenstejn Nel 1923 Vygotskij, assieme ad A. R. Luria e A. N. Leontiev fece parte del gruppo di giovani psicologi invitati dal direttore K. N. Kornilov, a svolgere la loro attività presso l’Istituto di Psicologia di Mosca. In questo periodo, egli si avvicinò al pensiero psicoanalitico, anche spinto dall’amicizia con Alexader R. Luria, già fondatore della Societa Psicoanalitica di Kazan, poi divenuto segretario della Societa Psicoanalitica Moscovita. L’Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse, nel numero 2 del 1924, ci informa che Vygotskij, nel dicembre di quello stesso anno svolse, presso la Societa Psicoanalitica Moscovita, una relazione dedicata all’impiego del metodo psicoanalitico nella critica letteraria.
Vygotskij, nel libro Psicologia dell’arte (1925), abbraccia il concetto freudiano di inconscio, sempre collegandolo, dialetticamente, alle funzioni della coscienza. Parimenti accetta l’idea di Freud, che paragona la produzione artistica al gioco infantile. A quegli anni risalgono anche le ricerche di Vygotskij sui bambini e sul loro sviluppo. Egli interpreta psicoanaliticamente il lavoro e la produzione artistica, come sublimazione dei desideri insoddisfatti nella vita reale. Critica, però, l’esclusività, in questo tipo di interpretazione. Per Vygotskij, riducendo l’opera d’arte solo ad un prodotto sublimato della sessualità, verrebbe meno ogni possibile riflessione sulla forma artistica, Inoltre, scomparirebbe il confronto dialettico delle pulsioni fra istinti e storia e, in definitiva, risulterebbe anche superflua la Storia dell’arte, come deposito e testimonianza dello sviluppo sociale delle discipline artistiche.
Purtroppo, nell’arco di pochi anni, la psicoanalisi, violentemente attaccata dagli ideologi del regime staliniano, sarebbe completamente scomparsa dal panorama culturale sovietico. Le Societa Psicoanalitiche Russe, di Kazan e Mosca, avrebbero chiuso la loro attività e gli psicoanalisti dispersi.
Nel 1932, Vygotskij scrisse un testo di grande interesse per il teatro e l’arte della recitazione: Sulla psicologia della creatività dell’attore. A quel tempo, la psicoanalisi, in Russia, non esisteva più; tuttavia quest’opera contiene alcuni elementi che non tradiscono il passato psicoanalitico dell’autore. Anche riguardo alla psicologia dell’attore, Vygotskij pensa che si debba impostare la ricerca sul piano dello sviluppo storico. Egli, in quel periodo, si era avvicinato allo studio dei test psicologici, ma li riteneva mezzi troppo empirici per dare risultati utili. Altrettanto empirico è il concentrarsi sulle emozioni degli attori per valutarne, astrattamente, le qualità. Non si deve partire dalla “natura eterna e immutabile del teatro”, ma impostare il problema concreto della psicologia dell’attore come un fatto storicamente condizionato, con “forme diverse…che mutano da epoca a epoca e da teatro a teatro”.
Vygotskij nega che l’attore possieda la capacità cosciente di svelare il pieno significato delle proprie emozioni. Per comprendere le emozioni, si deve storicizzarle: “Il paradosso sull’attore si trasforma in una indagine dello sviluppo storico dell’emozione umana”. In quel periodo, molti dei giovani studiosi sovietici che avevano aderito, con entusiasmo, al pensiero psicoanalitico, erano convinti che la psicoanalisi, per la sua stessa natura teorica, possedesse la capacita di storicizzare la dimensione psichica individuale; ma, già nella seconda metà degli anni venti, nessuno poteva permettersi di scriverlo apertamente. Sarebbe dovuto passare mezzo secolo e la seconda guerra mondiale, prima che la tematica dell’inconscio e della psicoanalisi riprendesse, in Russia, una effettiva consistenza.