PSICOANALISI E FUTURO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

PSICOANALISI E FUTURO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

La psicoanalisi è una tra le discipline più profondamente coinvolte negli studi relativi al cinema. Nell’ambito della disciplina psicoanalitica l’aspetto morfologico e quello esplicativo appartengono alla medesima costruzione concettuale. Essa consente di trascendere la superficie del discorso filmico per raggiungere aree psichiche più profonde, poiché ogni discorso, compreso quello filmico, è sostenuto da una complessa trama di attività menali di cui il pensiero cosciente è solo un aspetto parziale e, in situazioni e in momenti diversi, gli elementi psichici inconsci coinvolgono analogamente sia il realizzatore sia il fruitore dell’opera. Non a caso varie fonti hanno paragonato l’esperienza cinematografica a quella onirica, proponendo per l’analisi della prima procedure entro certi limiti simili a quelle impiegate nei confronti della seconda. Non occorre certamente una particolare penetrazione psicologica per comprendere che le cause profonde del fenomeno artistico, compreso quello filmico, appartengono alla sfera dell’inconscio. Poiché la psicoanalisi si presenta come un sistema psicologico che ha scelto ad oggetto delle sue indagini l’inconscio, quei generi cinematografici più carichi dl contenuti simbolici reconditi, come il fantastico e il fantascientifico si prestano massimamente all’impiego dello strumento psicoanalitico.

Va sottolineato che fra il cinema fantastico e quello fantascientifico esistono delle differenze significane, che si ripercuotono a ogni livello di analisi. Da un punto di vista psicologico assume notevole importanza una specifica caratteristica della fantascienza che potremmo definite “credibilità”. Infatti, mentre il cinema fantastico ci chiede una rinuncia alle nostre convinzioni scientifiche, poiché tratta di cose che non esistono e non possono esistere, quindi non necessitano di alcuna spiegazione, il cinema di fantascienza vorrebbe proiettarsi nell’universo così come lo conosciamo, non accettando nulla a priori. Il cinema di fantascienza vuole “spiegare”, anche se in modo solo formalmente scientifico, ciò che propone. Quindi si è indotti a credere che la vicenda cinematografica “potrebbe o potrà” accadere, nel mondo concreto, che “nulla si oppone”, in senso estremamente astratto, a un possibile realizzarsi degli avvenimenti che si verificano sullo schermo. Ora se accettiamo di operare nell’ambito della istanza freudiana che vede nella produzione artistica la manifestazione di processi e tendenze inconsce, se accettiamo cioè che «solo nell’arte succede ancora che un uomo dilaniato da desideri realizzi qualcosa di simile al soddisfacimento e che questo gioco — grazie all’illusione artistica — evochi reazioni affettive, come se fosse una cosa reale» (S. Freud, Totem e Tabù, 1913), ne deriva che, soprattutto nell’ambito della esperienza cinematografica di per sé dotata di enorme realismo, la “credibilità” della fantascienza assume grande risonanza emotiva. Essa insinua, tramite presunte spiegazioni scientifiche, la plausibilità degli eventi proposti e quindi il possibile concretizzarsi, nella realtà, delle istanze, inconsce o reali, ad essi collegate.  Per questa presunta credibilità, tendiamo a pensare al genere fantascientifico come a un ipotetico scenario dei possibili futuri dell’umanità, riguardo alla scienza e alla società.

Ovviamente, certi temi si ripropongono. Rispetto al classico incontro fra il mondo terrestre e civiltà aliene, per esempio, la fantascienza cinematografica suggerisce che, in futuro, gli esseri umani incontreranno visitatori di altri mondi, ma tende al pessimismo.

L’alieno può presentarsi come un singolo individuo, come può essere una comunità organizzata; comunque caratteristica generale degli alieni, tranne rarissime eccezioni, è il fatto di rappresentare una minaccia per l’umanità. A esempio. Nel classico film tratto dal romanzo omonimo di H. G. Wells La guerra dei mondi (Usa I953), assistiamo a una invasione di astronavi extraterrestri che, dotate di armi letali, disintegrano edifici e persone. Un bel remake del film è stato prodotto nel 2005. Altrettanto distruttive risultano le intenzioni di tutta una serie di mostri più o meno credibili proposti, nella seconda metà del secolo scorso, dalla cinematografia giapponese, assai sensibile al tema e l’elenco degli alieni malvagi potrebbe continuare a lungo.

La psicoanalisi suggerisce che queste intenzioni violente e aggressive manifestate dagli alieni trovino origine nella sfera del nostro inconscio. Esse vengono proiettate sugli alieni resi diversissimi da noi, in forme per esempio di grandi tarantole o rettili, per sostenere la convinzione che “nulla in comune” abbiamo con loro e meglio proiettare la nostra aggressività inconscia, limitando le interferenze del senso di colpa.

In altri e più rari film, quando l’alieno che verrà nel futuro viene presentato come una figura positiva, prevale la dinamica dell’identificazione. Ultimatum alla terra fu prodotto negli USA, nel 1951, in piena guerra fredda. Un remake del film è poi stato fatto nel 2008. In questo caso, l’ambasciatore di una civiltà interstellare scende sulla terra e ammonisce gli uomini affinché cessino la corsa agli armamenti e i loro perenni conflitti. L’idea suggerita dal film è scoraggiante: se mai un alieno buono dovesse, nel futuro, scendere sulla terra, noi tenderemmo a fargli del male e ad aggredirlo, così come siamo aggressivi fra noi.

Nell’ambito della cinematografia fantascientifica americana si sono sviluppate diverse particolari tematiche, che esaminano i possibili futuri. In primo luogo l’interessante filone che tratta dei robot e delle macchine pensanti. Che siano o no provvisti di forme antropomorfe, essi rappresentano una particolare situazione mentale umana: la negazione della sfera istintuale. II robot è un essere dotato di enormi potenzialità ed energie; rappresenta di per sé energia cieca e indifferenziata; ma proprio per questo il suo destino futuro deve essere una assoluta obbedienza nei nostri confronti. Cosa accadrebbe infatti se tali energie si manifestassero in forma incontrollata, senza dover fare riferimento ad un qualche codice comportamentale? Anche nell’inconscio umano esistono energie immense e senza regole; ma la socializzazione dell’individuo, attraverso successive identificazioni, comporta la acquisizione e l’accettazione di precise norme. Il cinema di fantascienza impone ai robot ed alle macchine pensanti la totale dipendenza dalle direttive umane, pena la distruzione, come avviene nel classico 2001 Odisseo nello spazio (Usa, 1968), quando il calcolatore che guida una nave spaziale verso Giove viene disinnescato avendo deliberatamente attentato alla vita dell’equipaggio e “muore” recitando una filastrocca infantile. L’alternativa fra obbedienza e distruzione è presente anche nello sviluppo individuale umano, ma ogni volta che l’individuo si sottomette alle regole rinuncia in qualche modo a soddisfare il nucleo istintuale. Il robot simbolizza un conflitto antico quanto la civiltà e rappresenta le estreme conseguenze del possibile predominio di una delle due forze antagoniste sull’altra. Usufruendo di concetti e termini di tipo mitologico si potrebbe asserire che in esso la misura e la freddezza apollinea si impongono completamente all’io dionisiaco.

Merita infine attenzione il filone narrativo riguardante i possibili sviluppi futuri della società umana. Dopo lo storico Metropolis (1927) di Fritz Lang, angoscioso anche nell’architettura della città descritta, questo filone è stato alimentato, prevalentemente, dalla cinematografia fantascientifica americana. Valga come esempio l’ormai classico Blade Runner (USA,1982), di Ridley Scott ambientato in una indesiderabile e spaventosa Los Angeles del futuro. 

Volendo fare un breve excursus storico troviamo: dalla catastrofe radioattiva di L’ultima spiaggia (Usa, 1959), agli effetti della guerra batteriologica in 1975 occhi bianchi sul pianeta Terra (Usa, 1971) fino alle estreme conseguenze della pressione demografica in 2022 i sopravvissuti (Usa, 1971), o agli effetti di un conflitto nucleare in The day after (USA, 1983), abbondano le ipotesi negative. In tempi più recenti, sempre in questo filone, vanno ricordati The day after tomorrow (USA, 2004) che non è un remake del precedente, ma parla di catastrofi climatiche e Tempesta di ghiaccio (USA, 2009), anch’esso fantaecologico, come diversi altri sul tema. In generale, sono spesso esempi di livello non eccelso.

In senso psicoanalitico l’idea della sofferenza e della catastrofe appartiene al concetto di progresso civile. Herbert Marcuse individua in Prometeo l’eroe archetipo del principio di prestazione, che è la forma storica prevalente del principio di realtà freudiano (H. Marcuse, Eros e Civiltà, 1955). Ma questo eroe civilizzatore ribelle contro gli dei, simbolo della produttività e dello sforzo incessante di dominare la vita, paga con pene eterne la sua iniziativa. In esso la maledizione e la benedizione, il progresso e la sofferenza sono collegati inestricabilmente. Se accettiamo l’ipotesi puramente psicoanalitica che la cultura rappresenti una difesa dall’angoscia infantile connessa al timore di perdere il primo oggetto d’amore, cioè la figura materna, il legame fra civiltà e sofferenza acquista plausibilità. Secondo tale interpretazione, nella formazione di gruppi organizzati e di una società l’individuo ricerca degli oggetti sostitutivi della madre perduta. Ma il processo di allargamento dei gruppi e di espansione della cultura non è necessario e garantito. Infatti la ricerca dell’oggetto d’amore perduto nell’infanzia non riesce a trovare un sostituto totalmente soddisfacente rispetto all’originale. Quindi, man mano che il numero degli oggetti sostitutivi si accresce e si ampliano i nuclei sociali, il soddisfacimento si fa sempre meno adeguato e la fine dell’intero processo inevitabilmente si avvicina. Si tratta di una interpretazione univoca che non propone un futuro molto positivo e ha suscitato controversie anche all’interno dello stesso movimento psicoanalitico. Essa sottintende l’inevitabile avvento di quella catastrofe, fino ad oggi scongiurata dai meccanismi persecutori e repressivi interni che la contrastano e che il cinema di fantascienza ci ha proposto, in più versioni. Ma è possibile e, forse, sperabile che l’impiego contemporaneo di diversi strumenti teorici, come il punto di vista storico e quello economico, modifichi anche sul piano delle ipotesi l’esito di questa terribile prospettiva.

Pubblicato su “Eidos, cinema e psyche” 40/2018

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