Psicologia dell’automobilista

Psicologia dell’automobilista

“Guai a chi la tocca!”. Sull’immaginario vessillo che sventola, fieramente, nella testa di ogni automobilista, queste parole sono imprese in lettere di fuoco. L’automobile è, tra gli strumenti inventati dall’umanità, quello che riceve il maggior numero di significati psicologici, prevalentemente inconsci. Fin dallo acquisto, l’auto viene scelta non tanto per la sua utilità, ma per ciò che può significare in virtù della sua linea, delle sue rifiniture e degli optional. Non sono affettuose amicizie quelle evocate dall’auto, ma passioni smodate e possessive. La vita quotidiana porta, poi, come nel matrimonio, a esasperare i tratti caratteriali tipici di ogni individuo; così ciascuno porta la macchina con un suo stile psicologico particolare. Le dinamiche psicologiche del guidatore si attuano a livello consapevole e inconscio. Sul piano simbolico, l’auto può rappresentare diverse cose: un’arma, un rifugio o, addirittura, un altare con un coro di clacson, ma, l’idea più frequente e più pressante nelle menti dei guidatori, è quella che associa la macchina ad un oggetto sessuale. Marshall McLuhan, il grande studioso canadese dei mezzi di comunicazione di massa, la definì “Moglie meccanica”. Il nostro Gabriele D’Annunzio esaltò “Questa automobile femminile, che ha la grazia e la snellezza e la vivacità di una seduttrice, e in più una virtù ignota alle donne, la perfetta obbedienza; e delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza, inclinata progreditura”.
Non sono scolorite immagini dei primi del secolo. Tutt’oggi, con gran frequenza, l’automobile evoca stati della mente complessi e non pienamente percepiti. Infatti, la sfera mentale, anche di tipo automobilistico, non consiste, esclusivamente di quello che è percepito dalla coscienza. La psiche, come una torta millefoglie, è formata da più strati sovrapposti e la parte inconscia è coperta dagli strati superiori. Possono, quindi, coesistere nella stessa persona delle spinte contraddittorie: da una parte forze razionali e coscienti, dall’altra pressioni inconsce, di tipo emotivo. Questa “ambivalenza affettiva” che produce, contemporaneamente, amore e odio verso la stessa persona si manifesta, facilmente anche nei riguardi dell’automobile. Amore per ciò che rappresenta di positivo e odio per le difficoltà d’uso dovute al traffico e gli alti costi. L’accostamento alla sessualità si veridica sin dalla fase dell’acquisto. Persiste l’ideale maschilista che la macchina porti alla donna. L’automobile come strumento di successo erotico del pilota forte e coraggioso, che non trascura la reclinabilità dei sedili. Alla simbologia “impulsiva” e aggressiva di tipo maschile si accosta la possibilità opposta di percepire l’auto come una “lei” trasformandola in un simbolo femminile. Ciò accade, particolarmente, in coloro che valutano le caratteristiche estetiche della carrozzeria, sopra ogni altra cosa, compresa la potenza del motore.
Le diverse modalità di questi trasferimenti psicologici sull’auto si ricollegano alla specifica personalità del compratore. In certi casi, l’auto giunge, addirittura, ad integrare la personalità, supportandola. Per un adolescente insicuro, “idoneità alla guida” può, inconsciamente, significare “idoneità alla vita”. Anche Per un adulto, la scelta di una auto non è, mai, un fatto esclusivamente razionale. Per questo la pubblicità esalta gli aspetti più appariscenti del mezzo che, più facilmente, possono trasformarsi in elementi simbolici. Da ciò nascono auto dalla linea sportiva, aggressiva e attraente dotate, paradossalmente, di un motore debole alla “voglio ma non posso!”. Anche gli accessori, come i fari da corsa, i fari supplementari o le antenne sbandierate fallicamente hanno un potente significato psicologico. Un colore vistoso soddisfa motivazioni esibizioniste, mentre chi vuole nascondersi nell’anonimato preferisce colori dai toni scuri, o il bianco assoluto. Permane l’idea elementare che, ad un mezzo potente e ricco corrisponda un proprietario dotato delle stese caratteristiche. Ogni guidatore si identifica, quindi, con la sua macchina. Chi acquista un fuoristrada vuole passare per temerario, senza esserlo. Anche l’aggressività, emozione potente quanto il sesso, si associa al mezzo automobilistico. Chi coltiva, il forma nevrotica, l’idea che la violenza possa simbolicamente esprimere una capacità virile, tenderà a utilizzare l’auto come una arma offensiva.
D’altra parte ò lo stesso utilizzo quotidiano della macchina a favorire la comparsa di grandi cariche aggressive. L’affollamento stradale e l’incubo del parcheggio, nei grandi centri urbani, possono scatenare una vera e propria “nevrosi da traffico”. Questo stato nevrotico, dovuto alla intensa circolazione può, a sua volta, causare incidenti stradali. Infatti l’automobilista reagisce al turbine cittadino con forme compensative, come la maleducazione, la spavalderia, la competitività e la spericolatezza. Nel traffico urbano, la “scatola di latta” si trasforma in una pentola a pressione, dove il guidatore viene “lessato”, senza poter scaricare, in nessun modo, la sua tensione. Questo è il principale motivo dell’aggressività del pilota cittadino. D’altra parte, il mezzo automobilistico può essere vissuto come qualcosa di, estremamente, privato. Così accade che, protetti dall’involucro dell’automobile, molti guidatori si mettano a parlare da soli, magari lanciando insulti e minacce di morte a chi, poco prima, li ha maltrattati sul piano automobilistico, prima di svanire a qualche incrocio. Parlare da soli reca sollievo, poiché scarica la tensione; salvo fingere una esibizione canora quando, fermi al semaforo, ci si accorge che il vicino automobilista osserva incuriosito. Che dire, poi, dei cultori delle dita nel naso, anch’essi favoriti, nelle loro pratiche antiigieniche, dall’effimero senso di isolamento offerto dalla scatola metallica. Questa privatizzazione tende, a volte, a trasformare l’auto in urla vera e propria casa, fornita del massimo conforto. Da qui, le fodere dei sedili in stoffa, o pelle e i soprammobili, come animali di pezza, collocati sul ripiano posteriore. A ciò si aggiungono i numerosi feticci, sacri e profani, appesi allo “altare” dello specchietto retrovisore. La scelta spazia dai cornetti portafortuna, agli oggetti religiosi. Fotografie dei familiari, spesso dei figli, adornano volentieri il cruscotto anteriore. Il professionista, o il dirigente d’industria possono trasformare la macchina in un ufficio mobile. Al telefono cellulare incorporato, si sono aggiunti la stampante e il computer. Anche in questo caso, la fantasia batte la realtà. La massima realizzazione privata dell’auto si esprime quando viene usata come “nido d’amore”. L’automobile accorcia non solo le distanze cittadine, ma anche gli spazi tra le persone. L’abitacolo automobilistico, chiuso e accogliente, facilita l’approccio. Se poi si è fermi al buio, aiuta a vincere la timidezza. Spesso i giovani, non disponendo di un alloggio, consumano il loro primo rapporto sessuale in macchina, in una atmosfera clandestina e non rilassata, sul piano psicologico. Questo esercizio automobilistico della sessualità, se prolungato nel tempo, potrebbe anche causare, ad alcuni individui, delle disfunzioni sessuali. Nonostante ciò, la leggenda vuole che, nei mitici ultimi anni del secolo scorso, alla intramontabile Fiat 500, la più amata dagli Italiani, fosse possibile abbinare un manualetto, allora stampato in ciclostile e autogestito, frutto del sudore e dell’impegno dei giovani di allora. La pregevole pubblicazione illustrava i metodi e le strategie fisiche per realizzare il ricco ventaglio delle posizioni erotiche offerto dal Kamasutra indiano, all’interno dell’intima, ma ristretta, alcova offerta dalla 500. In quegli anni, la creatività, sintomo di grande vitalità psicologica tentava, inarrestabilmente, di andare al potere, anche in campo automobilistico.

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